Corte Costituzionale, sentenza 5 aprile 2012, n. 78. Illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, cd. “Decreto Milleproroghe” (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla Legge 26 febbraio 2011, n. 10.
LE FASI SALIENTI DELLA VICENDA
1. La Cassazione
Nel 2010 le Sezioni Unite Civili della Cassazione (Sentenza n. 24418/2010), che nel 1999 si era espressa per l’illegittimità dell’anatocismo, avevano sancito il principio secondo cui il giorno da cui iniziare a far decorrere i termini è quello di chiusura del conto corrente.
2. La Norma
La legge di conversione al Decreto Milleproroghe dell’anno scorso (DL 225/2010) ha introdotto una norma di interpretazione autentica del Codice Civile con effetti retroattivi, per quanto riguarda la prescrizione delle azioni legali relative operazioni in conto corrente. I termini, che restano decennali, decorrono dal momento dell’annotazione della relativa operazione sul conto.
3. Le Reazioni
Molti tribunali del Paese hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale sulla norma interpretativa lamentando il conflitto su più piani con la Costituzione.
4. La Sentenza
La Corte Costituzionale ha stabilito il 5 Aprile 2012 l’illegittimità della disposizione, precisando che una norma di interpretazione con effetti retroattivi non è di per sé stessa illegittima, ma deve avere una sua ragionevolezza e risolvere, tra l’altro una situazione di incertezza.
La Sentenza - Corte Costituzionale sentenza n. 78 del 5 aprile 2012
"Pertanto, sussiste uno spazio, sia pur delimitato, per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all’art. 25 Costituzione), se giustificato da “motivi imperativi d’interesse generale” che spetta innanzi tutto al legislatore nazionale e a questa Corte valutare, con riferimento a principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, nell’ambito del margine di apprezzamento riconosciuta dalla giurisprudenza delle Cedu ai singoli ordinamenti statali (sentenza n. 15 del 2012).
Nel caso in esame, come si evince dalle considerazioni dianzi svolte, non è dato ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi d’interesse generale, idonei a giustificare l’effetto retroattivo. Ne segue che risulta violato anche il parametro costituito dall’articolo 117, primo comma, Costituzione, in relazione all’articolo 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo.
Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto legge n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, della legge n. 10 del 2011 (comma introdotto della legge di conversione). La declaratoria di illegittimità comprende anche il secondo periodo della norma (“In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”), trattandosi di disposizione strettamente connessa al primo periodo, del quale, dunque, segue la sorte.”
Con sentenza 05 aprile 2012 n. 78, la Corte Costituzione ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (c.d. Milleproroghe), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10 (comma aggiunto dalla legge di conversione), il quale prevede che “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione d’importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
Tale disposizione andava ad incidere sulle operazioni bancarie regolate in conto corrente limitando le possibilità di ottenere un rimborso da parte di quei correntisti che reclamavano l’illegittimità di quanto fatto pagare dagli istituti di credito per la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.
Senza modificare la durata della prescrizione (10 anni), la norma che ha convertito in legge il D.L. n 10/2011 stabiliva che il dies a quo (il giorno dal quale iniziare a far decorrere i dieci anni) doveva essere quello dell’annotazione in conto corrente, la data cioè in cui sul conto era stato effettuato il versamento a copertura dell’addebito dell’anatocismo, e non, come aveva stabilito le Sezioni Unite della Cassazione, quello di chiusura del conto stesso. Previsione questa che aveva fatto insorgere le associazioni dei consumatori in quanto tagliava fuori buona parte dei potenziali ricorrenti.
Con la sentenza del 2012 invece i giochi si riaprono, infatti la Corte Costituzionale dichiara che la portata retroattiva della norma è priva di giustificazioni.
La norma è intervenuta sull’art. 2935 del c.c. in assenza di una situazione di oggettiva incertezza “in materia di decorrenza del termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, a parte un indirizzo del tutto minoritario si era ormai formato un orientamento maggioritario che aveva trovato riscontro in sede di legittimità ed aveva portato ad individuare nella chiusura del rapporto contrattuale o nel pagamento solutorio il dies a quo per il decorso del suddetto termine”.
Secondo la Corte, l’efficacia retroattiva della deroga rendeva asimmetrico il rapporto contrattuale di conto corrente perché, retrodatando il decorso del termine di prescrizione, finiva per ridurre irragionevolmente l’arco temporale disponibile per l’esercizio dei diritti nascenti dal rapporto stesso, in particolare pregiudicando la posizione giuridica dei correntisti che, nel contesto giuridico anteriore all’entrata in vigore della norma denunziata, abbiano avviato azioni dirette a ripetere somme ai medesimi illegittimamente addebitate.